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Profitti della paura

21 ottobre 2001
Federico Rampini, La Repubblica

Bayer: Farmaci e difesa i profitti della paura

SAN FRANCISCO - Il professore russo Ken Alibek nell'Unione sovietica dirigeva il Biopreparat, il laboratorio segreto dove si costruì il più grande arsenale di armi batteriologiche del mondo. Ieri, invitato come esperto al Congresso di Washington, ha dichiarato alla Commissione per la sicurezza nazionale: "Il vero effetto dell'antrace non è la morte, è il panico".

Il professor Alibek sa tutto della guerra biologica ma non del capitalismo. Tra gli effetti collaterali dell'antrace ce n'è anche un altro, che al Biopreparat non avevano previsto. E' il boom nei profitti dell'industria farmaceutica, e non solo quella. Più 44 per cento dall'attacco alle torri ad oggi: è il rialzo di Borsa che l'allarme bioterrorismo ha regalato alla Bayer che produce Cipro, l'antibiotico più usato contro il carbonchio.

L'industria dei medicinali non è l'unica miracolata da Osama Bin Laden. Anche se l'impatto generale del terrorismo sull'economia americana resta molto negativo - il governatore della banca centrale Alan Greenspan ora parla apertamente di "declino significativo" - ci sono settori che stanno trasformando l'angoscia collettiva per la sicurezza in un ottimo affare privato. E non si tratta di speculatori marginali come i venditori delle maschere a gas, ma di interi pezzi del capitalismo americano. Per alcuni è boom di utili, per altri l'occasione di saccheggiare il bilancio pubblico a caccia di aiuti: dall'industria biotecnologica della Silicon Valley alle compagnie aeree, dalle assicurazioni ai siderurgici, la lista dei profittatori si allunga.

Il fenomeno è così evidente da diventare caso politico. Charles Schumer, senatore democratico dello Stato di New York, è il primo a spezzare l'omertà sui profitti delle case farmaceutiche: "[ab]Deve intervenire d'urgenza il governo - protesta - le autorità sanitarie devono aumentare le riserve pubbliche di medicinali obbligando i produttori a venderli a prezzi calmierati". L'amministrazione Bush nicchia.

Nonostante l'emergenza, esita ad attaccare un dogma a cui è molto legata: la tutela dei profitti privati sui brevetti dell'industria farmaceutica. Ma se in passato erano i paesi africani a lamentarsi per il prezzo esoso dei medicinali antiAids venduti dalle multinazionali Usa, oggi l'America vive un rovesciamento delle parti. In India, rivela Donald Mc Neil sul New York Times, un mese di terapia anticarbonchio a base di ciprofloxacin costa dieci dollari, negli Stati Uniti la stessa cura venduta col marchio Cipro di proprietà Bayer vale 350 dollari (740.000 lire). E se la singola pastiglia di Cipro in farmacia costa 4,67 dollari (diecimila lire), la stessa dose di pennicilina generica - che i medici considerano quasi altrettanto efficace contro l'antrace - costa 9 cents. Duecento lire.

Alla tedesca Bayer una settimana di allarmeantrace ha già fruttato mille miliardi di lire di vendite extra. Il Canada ha deciso che questo era intollerabile, e ha costretto la Bayer a vendere il Cipro a metà prezzo. Il bottino di guerra eccita gli appetiti delle maggiori concorrenti americane, come Pfizer e Bristol Myers Squibb, che accelerano la commercializzazione di antibiotici concorrenti del Cipro. Tranquilli, ce ne sarà per tutti. Dopo il carbonchio sta per aprirsi un altro business: Bush annuncia che vuole essere in grado di immunizzare l'intera popolazione americana contro il vaiolo, nel caso che...

Poiché la vaccinazione obbligatoria fu sospesa negli anni Sessanta con la scomparsa del vaiolo, le case farmaceutiche devono mobilitarsi per produrre a tambur battente 300 milioni di dosi di vaccino. Uno sforzo titanico, che sarà ben premiato. Bush ha già stanziato per il solo vaiolo 509 milioni di dollari.

E poi, prevenire è meglio che curare. Quindi ecco piovere dal cielo - cioè dal bilancio pubblico federale - 10 miliardi di dollari da spendere a tutto campo per attrezzare l'America ad una lunga guerra contro il bioterrorismo. Qualcuno questa guerra l'ha già vinta: nella Silicon Valley californiana le aziende di punta nell'industria biotecnologica sono al settimo cielo. La Cepheid di Sunnyvale è il caso più noto. Produce per il Pentagono apparecchi automatizzati che identificano rapidamente le aggressioni batteriologiche usando test del Dna. Le sue azioni in Borsa dall'11 settembre sono salite del 400 per cento. "Queste sono reazioni isteriche" commenta Rachel Leheny, analista dell'industria biotecnologica da Lehman Brothers. Lo stesso amministratore delegato della Cepheid, Thomas Gutshall, stenta a credere ai suoi occhi. "Forse il mercato sta un po' esagerando", è il suo understatement.

Ma il bioterrorismo è forse l'unica minaccia da cui difendersi? La parola a Richard Meserve, presidente della Nuclear Regulatory Commission, l'agenzia federale che vigila sulle centrali atomiche: "Il nostro mondo è stato sconvolto, dobbiamo ripensare tutta la nostra capacità di difendere gli impianti nucleari da attacchi terroristici". 48 ore fa un falso allarme ha costretto una squadriglia di jet militari ad alzarsi in volo sopra la centrale di Three Mile Islands, quella della "Sindrome cinese". C'è chi propone che i nuovi reattori nucleari siano costruiti a prova di attentato: sottoterra. Ma quanto costerà il rafforzamento delle protezioni attorno a tutte le centrali già esistenti? E la rete elettrica? Le dighe? I gasdotti e gli oleodotti? L'acqua potabile? Le reti della metropolitana? Gli stadi di baseball?

L'America scopre che l'elenco dei possibili bersagli fisici di attentati (senza contare i bersagli virtuali come le reti informatiche della pubblica amministrazione) è sconfinato. E terribilmente vulnerabile. Perché l'intera struttura economica e civile del paese non è stata progettata per resistere ad attacchi terroristici. Altro che i preparativi per fronteggiare i possibili blackout del Millennium Bug. Quanto può costare un rafforzamento generalizzato di tutte le barriere di sicurezza, di tutte le tecnologie protettive, di tutti i dispositivi di allarme per ogni obiettivo potenziale? Circola una stima sconvolgente. La fonte è la Commissione Bilancio del Congresso. Tenetevi forte: 1.500 miliardi di dollari di investimenti antiterrorismo, molti dei quali finanziati dallo Stato. Anche spalmati su tanti anni - perché questa sarà una guerra lunga - sono tre milioni di miliardi di lire. Se la stima dovesse rivelarsi attendibile, i paragoni con lo sforzo bellico sostenuto nei 40 anni della guerra fredda non sarebbero infondati.

Queste proiezioni scatenano appetiti svariati. Due celebri enfants prodiges della New Economy, Larry Ellison di Oracle e Scott McNealy di Sun Microsystems, bussano alla porta di Bush con una proposta: l'America adotti un sistema di carta d'identità elettronica collegata a una grande banca dati informatica. Naturalmente con tecnologie vendute da Oracle e Sun. Commenta sarcastico l'economista Scott Herhold: "Ottima idea, non fermiamoci qui. Bisogna anche obbligare ogni americano a girare 24 ore su 24 con un cellulare Motorola acceso, in modo che l'Fbi possa seguirne i movimenti. Ogni utente di Internet dovrà registrarsi da Microsoft che leggerà le sue email. E nelle case ci vuole una videocamera in ogni stanza, collegata con le reti a fibre ottiche dell'AT&T. Per la Silicon Valley lo slogan è: salviamo dal terrorismo l'America e il Nasdaq".

Poi ci sono quelli che dal terrorismo sono stati danneggiati pesantemente, ma che riescono a farsi rimborsare con gli interessi. Il capolavoro lo ha realizzato la lobby delle compagnie aeree: in un batter d'occhio ha ottenuto da Bush e dal Congresso 15 miliardi di dollari di aiuti pubblici. "Il valore di questa operazione supera l'intera capitalizzazione di Borsa delle sette maggiori compagnie aeree americane" protesta Robert Reich, ex ministro del Lavoro di Clinton. E' vero che nel trasporto aereo dall'11 settembre gli affari vanno male, ma 32.000 miliardi di lire regalati alle aziende dal contribuente americano sanno di truffa. La pensa così perfino un senatore repubblicano di destra, nonché ex banchiere, Peter Fitzgerald dell'Illinois: "Abbiamo dato alle compagnie il triplo di quello che hanno perso davvero". Per riconoscenza, queste aziende non appena ricevuti i soldi hanno licenziato 100.000 dipendenti.

Il furto con destrezza operato dalle compagnie aeree - che in realtà erano già in crisi prima dell'11 settembre - suscita invidie. Gli industriali della siderurgia, in difficoltà da anni per la concorrenza coreana (non per Bin Laden), improvvisamente ricordano che il loro settore è "strategico" in guerra. Risultato: il ministro del Commercio Don Evans promette misure protezionistiche contro l'acciaio straniero. Tutti fanno finta di ignorare che questa non è la seconda guerra mondiale, quando l'acciaio servì a Roosevelt per costruire mille navi. Oggi gli acquisti del Pentagono non arrivano all'1 per cento del fatturato dell'industria siderurgica. Anche la lobby delle assicurazioni lavora sodo. Se la spunta, l'Amministrazione Bush si accollerà l'80 per cento delle indennità da pagare per i danni del terrorismo. "Qui ogni industria si definisce vitale per la guerra al terrorismo - osserva sconsolato Robert Reich - e tenta di passare alla cassa".